top of page

VOLEVO FARE LA PARRUCCHIERA

2023
performance 20min

a cura di Laura Rositani e Contemporary Caring

Casa Capra, Schio (VI)

video link

testo di Laura Rositani

"Penso sia importante raccontare da dove nasce Volevo fare la parrucchiera (1), non solo per il titolo che può apparire curioso, ma perché nella costruzione di questo momento performativo si sono innescate continue sovrapposizioni tra la vita quotidiana e la pratica artistica, secondo un movimento ciclico, un loop che ritorna costantemente. Un perpetuo movimento tra il dentro e il fuori.

Ma prima di arrivare a questo, vorrei raccontare il mio incontro con Federica. Ci trovavamo entrambe a Galatina, in Puglia, per un periodo di residenza. Io tentavo inutilmente di trovare persone aperte al dialogo sul tarantismo.
“Scusate, ho sentito che a fine giugno si festeggia il patrono, c’è la festa di San Paolo, che cosa succede? Cos’è questa storia che si racconta delle tarantate?” “Ah ma quella è una storia vecchia”. Mi spiegano che le donne che lavoravano nei campi di tabacco venivano morse da una tarantola e prese da crisi di isteria venivano portate nella cappella di San Paolo dove trovavano la salvezza grazie all’acqua benedetta dal santo. “Va bene ma, non è vero?”

“Certo che è vero”

Vi chiederete cosa c’entra tutto questo con Federica Peyrolo e con il suo lavoro. Eppure c’è un aspetto così profondo che lega questo aneddoto sul tarantismo con la performance di Peyrolo ed è la potenza del credere. Credere che la musica di un tamburello curi le crisi di donne morse da un ragno, è paragonabile alla ferma credenza che ripetere una serie di rituali possa proteggerti. Con Federica abbiamo parlato spesso di questo credo così radicato. Ad esempio, pensiamo ad un'immagine semplice che tutti conosciamo del bambino che pensa di guarire da una botta con un bacio materno.
Significa prestare fede a cose impossibili e chi dice che lo siano.

Per questo Federica prima di addormentarsi compie una serie di riti che elenca in una pagina di diario, perché dimenticare una fase, saltare una parte del processo, significa annullare il rituale. Tre sorsi d’acqua sono accompagnati da mettere in bocca una caramella, metà a destra e metà a sinistra, poi altri due sorsi d’acqua, una preghiera, piegare l’angolo del cuscino e così via.

Le azioni si accendono in successione seguendo un movimento circolare, continuo, rispettandone la sequenza. Emerge una continua sovrapposizione tra reale e immaginario, credenza e verità, il concetto di performance e di vita si rincorrono e non sappiamo più distinguerle. Oggetti comuni diventano strumenti atti e funzionali all’azione.

Siete dentro o fuori?

I rituali hanno origini antichissime e si differenziano in diverse tipologie a seconda della provenienza, della religione e del desiderio che ne innesca le dinamiche: quello che le accomuna sono i comportamenti che avvengono sempre spinti da una motivazione. Alla base c’è una volontà di essere protetti, un’aspirazione alla cura e alla buona sorte.

Ci sono testimonianze lontanissime nel tempo a proposito di rituali volti a risolvere delle problematiche nell’antico Egitto (ad es. il papiro Ebers), o parlando di contesti contemporanei si registrano rituali per ovviare alla disoccupazione lavorativa o per risolvere problemi di cuore ad esempio negli Stati uniti, India, Brasile e Sud Africa. (2)

In Italia sono ancora vive alcune pratiche comuni che rafforzano l’unione tra le persone e il senso di comunità soprattutto nel meridione, rispetto al malocchio ad esempio.
Si tratta di comportamenti ripetitivi e simbolici che mettiamo in atto spesso spinti da sentimenti di paura: rituali fini alla sicurezza di non soffrire.

Ma se decidessimo di attraversare il dolore?

Byung-Chul Han in “La società senza dolore” tratteggia un profilo di società anestetizzata e che non comprende quanto il dolore sia necessario per aprirsi al mondo: “nella cultura della compiacenza” scrive, “manca la possibilità della catarsi”.(3)
“Volevo fare la parrucchiera” è anche questo: é esorcizzare la paura attraverso la ripetizione di gesti per uscire da un’apparente rassicurazione che si trasforma in una gabbia. Solo così la sofferenza diventa “un’inesauribile corso d’acqua che conduce al mare.”(4) Le azioni si susseguono nella stessa stanza fino all’ultimo atto della lista: urlare sogni d’oro e aspettare che qualcuno risponda. Fai bei sogni Federica."

1 il titolo nasce da un aneddoto che lega la storia di Federica Peyrolo a Casa Capra, ex salone di parrucchiera della nonna di Saverio Bonato. Anche l’artista prima di iscriversi all’ Accademia di belle arti pensava di diventare una parrucchiera.

2 Legare CH, Nielsen M. 2020 “Ritual explained: interdisciplinary answers to Tinbergen’s four questions” contenuto nel numero speciale della rivista Philosophical Transactions of the Royal Society B
3 Byung-Chul Han, “La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite”, Einaudi, 2022, p.

4 Byung-Chul Han, “La società senza dolore. Perché abbiamo bandito la sofferenza dalle nostre vite”, Einaudi, 2022, p. 32

Volevo fare la parrucchiera is the result of dialogues between me (Laura Rositani) and Federica Peyrolo in residence at Domus Artist Residency in Galatina.

The performative action takes shape in a cyclical narration that develops through ritual actions, repetitive and symbolic behaviors that we implement often driven by feelings of fear aimed at the security of not suffering.


But what if we decide to go through the pain?

Byung-Chul Han in "The Palliative Society: Pain Today" outlines a profile of an anesthetized society that does not understand how much pain is necessary to open up to the world: "in the culture of complacency" he writes "the possibility of catrsi is missing".
Volevo fare la parrucchiera is also this: it is exorcising fear through the repetition of gestures to get out of an apparent reassurance that turns into a cage. Only in this way does suffering become "an inexhaustible stream that leads to the sea".

bottom of page